Ripercorrere le tappe della carriera di Valerij Voronin significa anche accarezzare alcune pagine importanti legate alla storia dell’ ex Unione Sovietica.
Negli anni 60’ il partito comunista vedeva nello sport un grande strumento di propaganda fuori dai propri confini nazionali. Se il campionato viveva nel completo isolamento ci pensava la Nazionale a stabilire rapporti di forza e di conquista con il resto del mondo.
Sì, perche quella Nazionale trovò il modo di suscitare un ricordo indelebile su tutti gli sportivi. Frutto di una generazione fortunata perché i talenti abbondarono e furono garanzia di robustezza e spettacolo.
La carriera di Valerij Voronin si svolge in questo contesto sociale e ambientale. Talento puro venne aggregato a soli sedici anni alla prima squadra della Torpedo Mosca. Lui, nato a Mosca, percorse tutta la sua carriera in quella squadra.
Alla fine furono 219 presenze e ventisei reti condite da tante vittorie: due campionati sovietici (1960, 1965), due coppe dell’URSS (1959-60; 1967-68) e per ben due volte venne nominato calciatore dell’anno (1964, 1965).
Ancora ragazzo si allena nella Torpedo dove viene ipnotizzato dalle gesta del grande Streltsov il quale ad appena diciotto anni trovò il modo di esordire anche con la maglia della Nazionale sovietica e segnare tre gol alla Svezia.
Il “Pelè bianco” era un esempio e Voronin era lì, come tanti altri ragazzi della sua generazione, con la speranza di rubare qualche astuzia e segreto da quel grande campione. Erano tempi duri.
Il regime non era tenero e trovava tutti i mezzi pur d’imporre le sue volontà. Accadde così che da lì a poco tempo Streltsov si rifiutò di passare nelle cosidette squadre di regime. La risposta fu il carcere di Butirka e successivamente si aprirono per lui le porte della prigione in Siberia.
La Torpedo perde un fuoriclasse ma assiste all’esordio in prima squadra di Voronin. Certo, Streltsov è insostituibile anche come ruolo ma Voronin è un calciatore dalla grande personalità e ha carisma da vendere.
E’ un regista di centrocampo; molto forte e sa fare tutto. Molto valido dal punto di vista tecnico e tattico. Con lui la Torpedo Mosca impiega poco per vincere. Nel 1960 i bianco-neri moscoviti vincono il campionato per la prima volta.
Se Ivanov garantisce i gol, Gusarov agisce a supporto dell’attaccante garantendogli rifornimenti continui. Shustikov è un baluardo in difesa e tra i pali si destreggia, con bravura, il portiere ucraino Rudakov. Il collante tra i diversi reparti è assicurato da Voronin a cui l’allenatore Maslov affida le chiavi della regia.
Quello che colpisce di Voronin è che nonostante la giovane età sembra che giochi da secoli. Ha un innato senso della posizione. Sa sempre cosa fare, in qualsiasi momento e in qualsiasi zona del campo.
Capace di difendere e attaccare ma anche ispirare la stessa manovra d’attacco. Voronin è sinonimo di spettacolo. Era in possesso di una visione totale del gioco e in una frazione di decimi di secondo era in grado di trovare la soluzione migliore per i destini della squadra e del gioco.
Voronin è anche personaggio fuori dal campo. Raffinato, in campo e fuori. Ama la poesia e frequenta scrittori e attori. Il gentil sesso lo ama in virtù di un aspetto molto gradevole. Le prestazioni di Voronin si fanno sempre più convincenti.
Il ct della Nazionale Gavriil Kaèalin, fresco vincitore degli Europei nel 1960, lo aggrega con un pensiero rivolto ai Mondiali del 62’.
La squadra che partecipa alla spedizione mondiale è rispettata e temuta. Oltre a Voronin ci sono autentiche stelle del calcio sovietico come Szabò, Netto, Chislenko e il grande Jasin.
L’URSS vince il suo girone contro avversari di rango come Colombia, Uruguay e Jugoslavia ma perde nei quarti di finale contro i padroni di casa del Cile.
Voronin è ormai un calciatore consacrato. Partecipa anche agli Europei del 64’ dove i sovietici si arrendono solo nella finale contro la Spagna. Prova allora a rivincere il campionato ma il torneo è come paralizzato dalle squadre che il Regime sponsorizza.
Ci vorrebbe un salto di qualità. Quel quid viene raggiunto grazie al ritorno di Streltsov. Liberato dopo sette anni di Gulag e con un fisico indebolito il fuoriclasse sovietico ritorna al calcio giocato.
Lo fa alla sua maniera, mettendosi al servizio della squadra. Voronin giocherà accanto al suo idolo e insieme vinceranno uno scudetto storico: quello del 1965. Voronin è ormai la stella.
Ai Mondiali del 66’ giganteggerà ma la Nazionale sovietica dovrà arrendersi, in semifinale, dinnanzi alla fortissima Germania Ovest e alle reti di Haller e Beckenbauer. Sarà un quarto posto. Vincerà ancora una Coppa Nazionale nel 1968 con la sua Torpedo Mosca ma l’ascesa della Dinamo Kiev sarà prepotente e inarrestabile.
La sfortuna e un destino terribile sono però dietro l’angolo. Voronin, non ancora trentenne, ha un colpo di sonno mentre è alla guida della sua auto. Si scontra con una macchina che viaggia nella corsia opposta. È vivo per miracolo ma la sua carriera è finita per sempre.
Da quel momento sarà un uomo diverso: malinconico e triste. Troverà rifugio nell’alcol. Diventerà un vizio. Berrà per dimenticare la gloria vissuta e la tristezza per ciò che non potrà più esserci.
Nell’Unione Sovietica di allora i calciatori sono semplici dipendenti statali, normali cittadini e lavoratori e come tali vengono trattati una volta che appendono le scarpe al chiodo. Voronin si ritroverà povero, solo e dimenticato.
Nel maggio del 1984, all’età di 45 anni, fu trovato assassinato. Le indagini sul suo omicidio non condussero mai ad alcun indizio.
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