Per capire la gente ligure occorre piazzarsi sulla loro costa e osservare verso ponente o verso levante…
Mai verso il mare o verso le montagne, perché l’essenza del ligure non è l’uno o le altre, è quell’essere schiacciato tra mare e monti, quel vivere sul mare per opportunità e rinculare in montagna per necessità. Dal mare è sempre venuto il sostentamento, dalla montagna la salvezza. Dal mare venivano le mercanzie che arricchirono Genova e gli altri centri costieri, dal mare vennero anche i mori, detti anche saraceni.
Praticamente arabi. Gente che razziava tutto, anche le donne. Anche i bambini. Anche il futuro. Soprattutto il futuro. La storia dei liguri è fatta di distese marine da solcare e montagne come barriere per salvarsi quando le cose buttano male. E se vi pare che abbiano occhi solo per il mare, osservate bene: vedrete come la schiena è adagiata verso il monte, le spalle al sicuro, lo sguardo, solamente questo, verso l’imprevisto all’orizzonte. La Repubblica seppellita da un pezzo, la montagna spopolata e la costa brulicante di turismo.
Eppure Genova è viva, superba come un tempo. La città nel 1992 ospita l’Expo. La storia la si poteva ancora scrivere. L’energia scorre nei cantieri di Sampierdarena, cuore del tifo blucerchiato. Sampdoria, ovvero Sampierdarena più Doria, la grande famiglia genovese. Però la Sampdoria non è la squadra dei genovesi, o meglio, il genovese “storico”, quello che conta antenati anche prima della nascita del triangolo industriale Genova-Torino-Milano, è rossoblu. E così la Sampdoria ha finito per essere la squadra degli immigrati, dei marinai, della provincia. Genova è la culla del calcio italiano.
Ha la squadra più antica, il Genoa, e i primi scudetti. Poi è arrivata la Sampdoria e negli anni ottanta ha vinto tanto, ha vinto anche in Europa. Alla Sampdoria manca un piccolo passo, un gradino, per entrare nella storia. Checché ne pensino i genoani, Genova intera è ad un passo dalla grande storia in quel 1992.
Il 20 maggio 1992 infatti a Wembley si gioca la finale di Coppa dei Campioni tra Sampdoria e Barcellona. E’ il meglio che si possa incontrare su un campo rettangolare in quegli anni, Milan permettendo. Due squadre che segnano un’epoca, due giganti che si sono già incrociati due anni prima e il destino, o forse solamente Salinas, decise che quella Coppa delle Coppe l’avrebbe dovuta vincere il Barcellona. E’ la rivincita, sostiene qualcuno. Qualcuno che guarda al mare e non si cura dei monti. Qualcuno i cui avi non erano qui, in Liguria, ai tempi dei saraceni. E invece i doriani di certa origine genovese sbuffano. Belìn! ripetono in continuazione per tacciare gli sprovveduti. I tempi sono cambiati, gente, ma i saraceni non sono scomparsi.
Hanno maglie blaugrana e, guarda caso, vengono da una città di mare. Col mare non si scherza. E le montagne non si dimenticano. Proprio una montagna doveva essere quella barriera tra Pagliuca e Koeman, uno dei migliori specialisti di calci di punizione, una di quelle barriere verdi che separano la Liguria dal resto d’Italia. Giganti di roccia, impenetrabili.
Ma Barcellona è sul mare, non in Piemonte. E Koeman, il biondo olandese dal tiro violento, pare un vichingo, uno di quei normanni che pressapoco ai tempi dei saraceni o poco prima razziavano anch’essi il levante e il ponente ligure. Sampierdarena guarda verso il mare, non si cura della montagna. Mancano soltanto otto minuti e saranno i calci di rigore a decidere chi si fregerà dell’ambito titolo. Sampierdarena sogna, ma la montagna d’un tratto diviene collina, si muove, frana verso il mare e l’invasore biondo ne approfitta.
I vecchi, quelli col cappello da marinaio e la pipa in bocca, capiscono subito: se la montagna frana è’ la fine. Ora Genova la Superba non può essere più difesa. Frana l’aspra terra ligure, verticale, terrazzata. Frana il sogno sotto i colpi di cannone di un vichingo alla mercé degli spagnoli. E tutto perché i sampdoriani sono gente che viene per lo più dal mare e alle montagne, ahiloro, ha sempre dato poca importanza.
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