Il calcio, come ci insegna qualcuno, è ordinariamente scienza esatta, ma come in ogni cosa, il pericolo delle eccezioni non è da escludere. E non ci piace dire che “l’eccezione conferma la regola“, perché non vediamo il nesso logico tra la conferma di un’abitudine e un’eventualità più unica che rara; ci piace piuttosto immedesimarci nel brivido che quell’eccezione può provocare, nel fremito, nell’adrenalina che ci pervade al solo ricordo. Ecco perché quando si parla di rimonte, il cuore di uno sportivo e, nello specifico, di un interista va quasi in fibrillazione. Quella del 2004/2005 è la prima Inter del Mancio: Moratti, nell’estate precedente, aveva fatto follie pur di avere l’emergente tecnico ex-Lazio alla guida della sua truppa e dopo la vittoria della Coppa Italia a Roma, l’allenatore di Jesi era approdato alla Pinetina. Ad aspettarlo c’erano i suoi ex compagni Stankovic, Vieri, Favalli, Veron e soprattutto Mihajlovìc (che dopo qualche anno sarebbe diventato il suo secondo in panchina); oltre a loro e a qualche altro neo-acquisto (vedi Cambiasso e Davids), la rosa di quella stagione comprendeva ancora tutti quei giocatori che non erano riusciti a esprimersi al meglio negli anni precedenti in maglia nerazzurra: Van der Meyde, Kily Gonzalez, Emre, Recoba, Karagounis, Coco. E in quella stagione, dobbiamo dirlo, le cose non erano cambiate più di tanto, perché in fondo a brillare erano stati sempre i soliti titolari. Dati alla mano, l’Inter del Mancio arriva alla penultima partita del girone d’andata, in casa con la Samp, ancora imbattuta: peccato però che su 17 partite le vittorie siano solo 5 e ben 12 invece i pareggi, tanto da far guadagnare all’allenatore interista il soprannome di Mister X. Così i doriani arrivano a San Siro quasi appaiati ai nerazzurri in classifica, e il match si prospetta da tripla. Novellino, allora tecnico dei blucerchiati, intravede la possibilità di giocarsi alla pari la partita e non schiera una formazione rinunciataria, con due rulli compressori sulla fasce come Diana e Tonetto, e due punte, Flachi e Rossini. Anche Mancini tiene fede al suo credo calcistico e manda in campo un 4-3-1-2 che all’occorrenza può diventare un 4-4-2. Emre infatti agisce da trequartista davanti ai tre mediani Stankovic, Cambiasso e C.Zanetti e dietro i due attaccanti di peso Adriano e Vieri. Un’Inter che almeno nei nomi fa paura, ma che per circa 80′ non riesce a schiacciare l’avversario, anzi. Con Adriano in campo la squadra quella domenica non riesce a carburare, per quanto comunque si cerchi di attaccare bene su tutto il fronte offensivo. I doriani sono ordinatissimi e Antonioli fa tutto il suo dovere sulle conclusioni di Cambiasso e Vieri. Ma la Sampdoria non resta certo stare a guardare e prova la ripartenza dopo ogni azione nerazzurra. La sensazione è che qualcosa stia quasi per accadere, perché gli uomini di Novellino sanno sempre ed esattamente cosa fare, e questo, anche mentalmente, li rende superiori. A tre minuti dalla fine del primo tempo, gli uomini in maglia bianca passano: Diana si allarga a destra e crossa dall’altra parte. Arriva Tonetto, Cordoba lo perde di vista e il terzino (che aveva segnato due domeniche prima a Lecce) incrocia benissimo sul palo più lontano. Toldo non se l’aspetta e la palla sbatte sulla base del legno ed entra in porta: 1-0. Nella ripresa, i nerazzurri cercano di ripartire ed è Adriano, che appare stanco, a trovarsi il pallone sul destro, ma Falcone s’immola per salvare e deve uscire con uno stiramento all’inguine: entra Pavan e, forse, la Samp perde qualcosa in difesa. Arrivano anche altri cambi: C.Zanetti fa posto a Martins e Adriano esce per Recoba. Succede però quello che nessuno si aspetta: al 36, la Samp raddoppia con una meravigliosa azione in contropiede. Flachi, di tacco, apre a Tonetto che lancia il neo-entrato Kutuzov: il bielorusso entra in area da sinistra, resiste a una carica e batte Toldo. 2-0, sembra la fine. A questo punto nessuno più ci crede: non solo alla vittoria, ma a tutto il progetto targato Mancini. Arrivano infatti pesanti critiche dagli spalti posti dietro la panchina e il tecnico non può che incassare i colpi, vista la situazione. Ma succede l’incredibile, in 4 minuti. Il miracolo porta i nomi e le firme del trio d’attacco: Martins, Vieri  e Recoba. Al minuto 86 comincia lo show finale: Recoba centra il palo con un tiro dal limite. Un minuto dopo, su percussione centrale, Martins beffa il portiere avversario con un bellissimo tocco d’esterno in controtempo: palla nell’angolino basso e 1-2. Lo stesso Martins dimostra tutta la sua grinta quando al 46′ del secondo tempo recupera un pallone destinato a uscire sulla linea di fondo con una spettacolare rovesciata: palla a centro area e Bobo insacca il 2 a 2. Tutti pensano possa bastare, anche i tifosi che poco prima avevano inveito contro il mister, ma non è così: a quest’Inter non basta mai. La vendetta del Mancio si consuma con quella che per anni è stata la croce e la delizia di San Siro, ovvero Recoba. Il Chino lascia partire un bolide dal limite dell’area su cui Antonioli non può arrivare: palla nel sette e incredibile 3-2. Ora sì che non ci crede nessuno. La rimonta, inattesa, imprevedibile, folle,  è completata. Pazza Inter, amala.