Il fallimento della Supercoppa in Arabia Saudita
In attesa che si giochi Inter-Lazio, seconda semifinale di Supercoppa Italiana, nella giornata di oggi non si fa altro che parlare della sfida che ieri sera ha visto il Napoli imporsi per 3-0 sulla Fiorentina, conquistandosi così il primo slot disponibile per la finale. E no, al centro dell'attenzione non c'è né il rigore sbagliato da Ikoné, né la doppietta sul finale del giovane Zerbin, bensì il desolante spettacolo sugli spalti (però almeno le condizioni del campo erano perfette). Da qualche anno ormai, non solo quello che dovrebbe essere il primo appuntamento della stagione di serie A si gioca nel bel mezzo della stagione, ma altresì lo si fa in un paese lontano e poco appassionato allo sport del calcio: l'Arabia Saudita. Questa idea segue il modello spagnolo e la Lega Serie A a partire da quest'anno ha accettato l'offerta delle autorità sportive arabe cambiando il format, coinvolgendo più squadre, e rinnovando la partnership per le prossime quattro delle sei edizioni della Supercoppa Italiana, che si giocherà in Asia Occidentale anche nel 2024,2025, 2028 e 2029 (sono ancora da stabilire le sedi delle edizioni 2026 e 2027). Questo accordo, dall'obiettivo di diffondere il calcio italiano nel mondo, è sicuramente molto vantaggioso per un campionato in forte difficoltà finanziaria come quello del nostro bel Paese (la serie A incassa circa 23 milioni di euro e di questi 16,2 milioni spetteranno di diritto ai club partecipanti), ma snatura quello che in Italia lo rende lo sport più amato: la passione dei tifosi. Come un pugno nello stomaco, colpisce e fa male notare solo la presenza di cinquemila persone in uno stadio dalla capienza di venticinquemila posti e l'appassionato di calcio storce il naso a sentire uno stadio così silenzioso, soprattutto se abituato alla presenza assordante di un pubblico che spesso sa essere il dodicesimo uomo in campo. Per questa sera sono attesi circa diecimila spettatori, ma anche se l'Arabia è sicuramente più vicina al calcio rispetto al Qatar e al suo pubblico pagato e pagante, è pur vero che agli arabi piacciono solo i grandi club della serie A, quelli blasonati e famosi in tutto il mondo: poco importa veder giocare, seppur molto diverso da quello dello scorso anno, il Napoli campione d'Italia o la Fiorentina di Italiano, rivelazione della stagione 22/23. Il calcio italiano è soprattutto il calcio della sua gente, gli stadi pieni ogni domenica nonostante il caro biglietti, la passione che spinge padre e figlio a vestire la stessa casacca ed entrare mano nella mano a San Siro o all'Arechi con la voglia di tifare che brucia sottopelle, il cuore a mille dopo un gol al novantesimo e i decibel a sovrastare i microfoni dei telecronisti che si ammutoliscono di fronte ad uno stadio che urla al cielo la propria fede in tutta la sua bellezza. Se persino Churchill amava gli italiani "perché vanno in guerra come se andassero ad una partita di calcio e vanno ad una partita di calcio come se andassero in guerra" bisognerebbe focalizzarsi sulla qualità del prodotto che si vuole esportare e il calcio italiano se non ha accanto i tifosi, ecco che allora sì che è solo una partita di calcio ed è bello esclusivamente se riguarda le sue big. Sono molti i tifosi, perlopiù appartenenti ai gruppi organizzati che, soprattutto per far arrivare a chi di dovere il messaggio che è la gente a rendere il calcio lo sport più bello del mondo, rifiutano l'Arabia come destinazione: i prezzi dei voli, le diverse ore di viaggio e più in generale la scomodità della trasferta certo contribuiscono a far abdicare anche i più fedeli. Per i prossimi anni, fintanto che sarà questa la sede del primo trofeo stagionale, sono diverse le idee che si potrebbero mettere in atto per esportare anche la passione che caratterizza il campionato italiano (proprio l'altro ieri, l'amministratore delegato della Serie A De Siervo parlava di viaggi convenzionati per i tifosi, ad esempio) e chissà che la forza della fede calcistica non possa travolgere il mondo arabo e avvicinare il pubblico saudita non più solo ai loghi. In un calcio così liquido come quello attuale, ma mai così granitico nel suo cinismo, certo mi rendo conto che questo può essere solo un bel discorso retorico, ma è inutile negare e fingere che il pubblico sia solamente una bella cornice: a che serve segnare un bellissimo gol se non c'è nessuno ad esultare?