Passeranno ben 9 anni dallo Scudetto numero 11 prima di vedere nuovamente i colori nerazzurri primeggiare nel campionato italiano.
Ci eravamo lasciati con un’
Inter che affidandosi nuovamente alla vecchia guardia, quella cioè che aveva preso parte alle imprese europee della
Grande Inter di Helenio Herrera, conquistava inaspettatamente uno
Scudetto con largo anticipo in maniera anche un po’ inaspettata considerando l’avvio di stagione. E lo faceva rispettando una tabella di marcia che giocatori e allenatore,
Giovanni Invernizzi, avevano stilato insieme all’insediamento di quest’ultimo.
Un digiuno da risultati sportivi, in campionato, che aveva di fatto creato un’attesa incredibile in tutto il mondo
nerazzurro. Non era sufficiente la
Coppa Italia conquistata due anni prima per “sfamare” la fame di vittorie e trofei di tutto un’ambiente. Ed è in questo contesto storico che i
nerazzurri riescono a sedersi nuovamente sul trono dei vincitori.
L'ultima squadra completamente italiana a vincere uno Scudetto
Dimentichiamo la
Grande Inter, quindi, dimentichiamo una squadra costruita puntando sulla vena realizzativa dei suoi bomber e su una corsia di destra in cui la fa da padrone la Freccia Nera,
Jair. Quella a cui assistiamo è una parabola sportiva che resterà negli annali del calcio anche per un
particolare record raggiunto: sarà l’
ultimo campionato italiano vinto da una squadra interamente composta da giocatori di nazionalità italiana. E questo non avvenne per scelta, bensì fu un obbligo. Il
1980, infatti, sancì la fine di quel divieto che la Federazione italiana aveva messo in atto per contrastare l’arrivo di giocatori stranieri in
Italia, a partire dall’eliminazione degli
azzurri ai Mondiali del 1966 contro la Corea del Nord. Lo scopo era nobile: valorizzare il vivaio e i giocatori cresciuti nelle giovanili. L’
Inter in questo si dimostrò tra le migliori compagini, tant’è che la vittoria per
2 a 0 sul Pescara vedeva in campo ben 6 titolari provenienti dal settore giovanile:
Bordon,
Baresi,
Canuti,
Bini,
Oriali e
Muraro.
Mimmo Caso, Beccalossi e Altobelli
Anche quell’Inter, un po’ come quella di Inzaghi che viviamo ai giorni nostri, aveva un tuttocampista. Come oggi godiamo delle gesta di Barella, più di vent’anni fa i tifosi sgranavano gli occhi guardando
Mimmo Caso. Fu anche l’anno in cui in
nerazzurro arrivò un giocatore dal nome curioso e dal talento così grande e discontinuo da farlo diventare un simbolo dell’imprevedibilità (in tutti i sensi) del genio calcistico:
Evaristo Beccalossi. Una leggenda metropolitana narra che in occasione del
derby di quell’anno vinto per
2 a 0 con una sua doppietta, il giovane
Beccalossi avrebbe salutato il portiere del
Milan Albertosi con la frase “
Mi chiamo Evaristo, scusate se insisto”. Una leggenda metropolitana che ci piace pensare, ancora oggi, sia rispondente alla realtà dei fatti perché sarebbe in linea con il personaggio in questione.
L’
Inter di quell’anno poteva contare anche un giovane centravanti che, di li a poco, sarebbe diventato anche campione del Mondo con l’
Italia,
Spillo Altobelli. Memorabile la sua tripletta in occasione di un
Inter - Juventus finita
4 a 0 per i
nerazzurri. Il presidente che si apprestava a sollevare al cielo il dodicesimo titolo nazionale della storia del club era lo stesso di 9 anni prima,
Ivanoe Fraizzoli, e in panchina sedeva un certo
Eugenio Bersellini, detto “
Sergente di ferro” per i suoi metodi d’allenamento non proprio morbidi che lo portarono, però, ad ottenere importanti successi, principalmente alla guida dell’
Inter. Era anche l’anno dello scandalo calcio-scommesse che mandò in serie B il
Milan e la
Lazio.
Quello Scudetto arrivò a tre giornate dalla fine quando a San Siro, un gol di
Roberto Mozzini allo scadere regala all’
Inter il pareggio contro la
Roma e consegna di fatto l’aritmetica certezza del
tricolore.
Quell’Inter è bella e amata da tutto il popolo nerazzurro. Il capitano
Bini, il giovane
Bergomi, i gol del capocannoniere
Altobelli e l’imprevedibilità di
Beccalossi sotto la guida dura del
Sergente di ferro crearono un amalgama che, ad oggi, risulta ancora uno dei momenti più alti della storia
nerazzurra.