Il countdown verso il big match di domenica sera tra Juventus e Inter scorre veloce e uno che il derby d’Italia ha avuto modo di viverlo sul campo è ospite di questa intervista realizzata in esclusiva dalla nostra redazione. Parliamo di Stephane Dalmat, ex centrocampista francese classe 1979, che per le sue abilità con la palla tra i piedi si è guadagnato il soprannome di "Joystick". Nel mondo del calcio ci sono giocatori che verranno ricordati sempre e per sempre, indipendentemente dal fatto se siano stati campioni o meno, che abbiano vinto trofei importanti, che abbiano realizzato montagne di gol in carriera. Stephane Dalmat è uno di questi. Nonostante non sia stato un giocatore che abbia lasciato il segno nei palmarès delle squadre in cui ha giocato, ha però lasciato un segno indelebile nel cuore di tutti i tifosi di calcio, tra cui quelli dell’Inter. Benvenuto a “Il Nerazzurro”, Stephane. Tu nasci e cresci, calcisticamente parlando, nelle giovanili dello Châteauroux, squadra con la quale debutti in Ligue 1 nella stagione 1997-1998.  Cosa ricordi del tuo esordio in prima squadra? "Avevo 17 anni quando sono arrivato allo Châteauroux e dopo un anno con il settore giovanile ho fatto il mio esordio in prima squadra. Sembrava di sognare perché giocavo, a soli 18 anni, contro grandi squadre come Marsiglia, Paris Saint-German a altre. Quell’anno fu fantastico, soprattutto a livello personale. La squadra purtroppo retrocedette in serie B ma la mia volontà era quella di restare in A e molte squadre mi cercavano. Lo Châteauroux, però, chiedeva tanto per il mio cartellino. Solo il Lens ed il Paris Saint-Germain misero sul piatto della bilancia circa 5 milioni di euro. Potendo scegliere, scelsi il Lens campione di Francia". Il primo anno tra i professionisti è stato il trampolino di lancio per la tua carriera. La tua classe era sotto gli occhi di tutti e la prima squadra a credere in te è stata, infatti, il Lens campione di Francia che decide di sborsare quei 5 milioni di euro per acquistarti. Come hai vissuto la chiamata del Lens e quali erano le tue aspettative? "La chiamata del Lens, come dicevo, è stata qualcosa di indescrivibile. Per me rappresentava un onore poter giocare con i campioni di Francia davanti ad un pubblico straordinario. A soli 19 anni, poi, mi ritrovai a partecipare alla Coppa dei Campioni ed affrontare squadre di livello come Arsenal, Panathinaikos e la Dinamo Kiev di Shevchenko". L’anno seguente, e quello ancora successivo, passi prima al Marsiglia e poi al Paris Saint-German. Il Paris Saint-German, però, non è ancora quello che siamo abituati a vedere in questi anni, ma si tratta comunque di un’esperienza importante. 4 squadre nei primi 4 anni di carriera tra i professionisti. Nelle ultime due, però, non riesci ad esplodere. Come mai? "All’inizio non avevo intenzione di lasciare il Lens ma quando arrivò il Marsiglia, che per un giovane francese come me, era la squadra più popolare del momento, iniziai a vacillare. Il Marsiglia mi voleva a tutti i costi e sborsarono ben 11,5 milioni di euro per il mio cartellino, dando vita a quello che si rivelò esser il più grande trasferimento, in termini economici, tra due squadre francesi. Firmai un contratto di 7 anni, ma l’anno successivo il Marsiglia ebbe dei problemi economici e mi vendette al Paris Saint-German perché il mio intento era quello di rimanere in Francia. A Parigi, visto anche il poco tempo a disposizione, è stato il periodo in cui ho fatto più fatica. Quell’anno oltre al Paris ci furono altre 3 squadre su di me: Lazio, Milan e Inter". Nel gennaio del 2001 è Massimo Moratti, presidente dell’Inter e da sempre estimatore di giocatori di talento, che decide fosse arrivato il momento di portarti in Italia, sponda nerazzurra. Alcuni dicono che gli ricordi il suo più grande amore calcistico, ovvero Alvaro Recoba. L’Inter in quegli anni non navigava in acque floride. Com’è stato l’arrivo in Italia e quali difficoltà hai dovuto affrontare? "Sono arrivato all’Inter in un periodo difficile. I nerazzurri erano stati eliminati nel preliminare di Champions e Lippi era stato sostituito da Tardelli. Quando entrai nello spogliatoio ero circondato da grandissimi campioni, da Vieri a Recoba, da Ronaldo a Seedorf, senza dimenticare Blanc. Personalmente ritengo di aver fatto una seconda parte di stagione ad un livello molto alto". Parliamo di Clarence Seedorf a cui ti sei particolarmente legato. Ricordo che fu lui a darti il nome Joystick. Puoi raccontarci questa storia? "Si, è vero. Il soprannome Joystick me lo diede Seedorf per via della mia capacità di fare cose con il pallone che si vedono solo sulla PlayStation. Una mattina Clarence arrivò agli allenamenti con un capello per ogni giocatore, e sul mio c’era scritto PlayStation. Da quel momento tutti mi chiamarono Joystick". La tua prima rete in nerazzurro la realizzi nella gara vinta 4-2 contro la Fiorentina. Un bolide di destro dalla lunghissima distanza che si va ad insaccare esattamente nel sette, con Francesco Toldo (poi nerazzurro) che si tuffa senza riuscire nemmeno a sfiorare il pallone. Qual è stata l’emozione provata in quell’occasione? "Il mio primo gol con l’Inter è stato straordinario, soprattutto perché fatto a San Siro davanti a migliaia di tifosi. Ho provato delle sensazioni fantastiche, mi sentivo su un altro pianeta. Ero fiero di me e felice per tutta la mia famiglia". Sei tra gli sfortunati protagonisti del derby vinto dal Milan per 6 a 0. Immaginiamo che la delusione di voi giocatori fosse ancora più grande di quella dei tifosi sugli spalti. Cosa vi siete detti negli spogliatoi a fine gara? "In quell’occasione c’è stato poco da dirsi. Avevamo perso il derby per 6 a 0 ed eravamo tutti a testa bassa. Fu un’umiliazione, pensai che non era possibile aver perso quella partita in quel modo. Dovevamo dimenticare presto, stare in silenzio e rimetterci a lavorare duramente". L’Inter è la seconda squadra con cui hai realizzato più presenze. Dopo il nerazzurro hai avuto una breve parentesi in Inghilterra e Spagna, prima di fare nuovamente ritorno in Francia. In quale campionato hai riscontrato maggiori difficoltà, e perchè? "Il campionato in cui ho trovato maggiori difficoltà è stato quello spagnolo. Ero con il Santander, una squadra che non era allo stesso livello delle maglie indossate sino a quel momento. Mi sono chiesto cosa facessi in quel club e dissi a me stesso che il passaggio dall’Inter al Santander fosse accaduto solo per colpa mia". Hai chiuso la carriera da giocatore professionista relativamente giovane, a 33 anni.  Ti va di raccontarci come è stato prendere quella decisione, e che sensazioni hai provato? "Andavo per i 34 anni e non avevo più voglia di fare tutti i sacrifici richiesti da questa professione, bella ma impegnativa. Quello che mi piaceva fare era ormai solo giocare, ma ero stanco di tutto il resto come i viaggi, gli alberghi e gli impegni settimanali. Ho smesso di giocare comunque dopo 15 anni di carriera e non avrei mai pensato di riuscire a fare tutto questo appena arrivato allo Châteauroux". Sei sempre rimasto affezionato all’Inter, la segui molto e ne sei ancora tifoso. Quest’anno tra i nerazzurri c’è un tuo connazionale che ha iniziato con il piede sull’acceleratore. Parliamo di Marcus Thuram. Ti aspettavi quest’impatto sulla Serie A? Pensi possa diventare ancora più forte? "Avevo detto a tutti quelli che mi chiedevano un parere su Thuram che si trattava di un giocatore molto forte che sarebbe stato la sorpresa del campionato. Seguivo le sue partite in Germania e con la nazionale francese e quando ho saputo che l’Inter lo aveva messo sotto contratto, per di più a parametro 0, ho pensato che la dirigenza avesse fatto un grandissimo colpo portando in rosa un giocatore capace di esaltare lo stadio. Sono sicuro che possa fare ancora molto di più, può migliorare e diventare davvero un crack". Mancano pochi giorni al Derby d’Italia contro i rivali storici della Juventus, una partita importante per la classifica e per il morale. Inzaghi dovrà fare a meno di alcuni giocatori importanti ma sembra avere un grado di consapevolezza in più nei propri mezzi e nella gestione della rosa. Come reputi il lavoro del mister sino a questo momento? Dove può ancora migliorare? "Preparare questa partita è difficile, soprattutto perché arriva dopo gli impegni della nazionale e i giocatori si sono messi a disposizione del mister da pochi giorni. Inzaghi, però, ha dimostrato di esser capace di fare grandi cose, superando la pressione dei primi 6 mesi dello scorso anno quando le cose non andavano benissimo e ribaltando pronostici e risultati nella seconda parte della stagione. Anche quest’anno è iniziato molto forte e credo possa portare l’Inter ai livelli di 10 o 20 anni fa. Sta facendo un gran lavoro, è un bravo allenatore che si poggia su una società solida. Deve lavorare tranquillo e sono sicuro che può migliorare ancora ed essere uno tra i migliori in Europa". Prima di chiudere quest’intervista ti facciamo una domanda da tifoso per i tifosi. Come finirà per te Juventus-Inter, e chi è il giocatore nerazzurro da cui ti aspetti di più? "Sarà sicuramente una partita dura contro una squadra sempre complicata da affrontare e che ha comunque molta qualità. Personalmente spero in un 1 a 0 per l’Inter, con i nerazzurri che sulla carta sono più forti ma questo match fa storia a sé. Spero proprio in un gol di Thuram, ma se segna un altro va bene lo stesso. Sempre forza Inter!".