Il Presidente era Angelo Moratti, l’allenatore Helenio Herrera. Italo Allodi, l’artefice a tavolino della Leggenda. Per una squadra che ha tracciato un solco profondo nella storia del calcio. Tre volte campione d’Italia e per due volte consecutive sul tetto continentale e del mondo.
“La mia Inter aveva qualcosa che nessun’altra squadra aveva: noi eravamo sia solidi che tecnici, una combinazione che ha reso quell’Inter una delle migliori squadre di sempre”, ebbe a dire Sandro Mazzola a proposito della Grande Inter.
Il catenaccio era il modulo che ci consentì di vincere tutto. Attraverso un dominio totale. Herrera inventò un modo di stare in campo ma fu anche un innovatore totale introducendo nel nostro calcio il “ritiro”. La difesa era parte essenziale e strumentale della fase d’attacco. La rapidità nell’imbastire le azioni di contropiede era una frazione temporale da regalare a un sogno. Schemi semplici e logici, difesa bloccata e presidiata dal libero, una serie di giocatori dotati di gran tecnica e colpi risolutori. A guardia dei pali Lorenzo Buffon; dal 1963 fece il suo ingresso il livornese Giuliano Sarti destinato a diventare uno dei più grandi portieri di sempre.
Picchi, il libero, agiva alle spalle del pacchetto difensivo composto da Burgnich-Guarneri-Facchetti; costituiva il pilastro in una fase fondamentale per il rilancio dell’azione. Il capitano, all’occorrenza, randellava con eleganza; un vero condottiero.
Picchi era un regista difensivo d’intelligenza largamente superiore ai mezzi (secondo una delle tante definizioni date da Gianni Brera).Se Herrera guidava dalla panchina, Picchi e Suàrez erano allenatori in campo. Burgnich e Guarneri erano marcatori arcigni e dalla tempra indomita; si curavano delle punte avversarie, le bloccavano sino ad annullarle. Burgnich era insuperabile di testa, una “roccia” come veniva affettuosamente chiamato. Facchetti difendeva e attaccava sulla fascia, già interprete moderno in quella zona del campo che la storia avrebbe consegnato, anni dopo, ai cosidetti esterni.
Capace di trasformarsi in un’ala pura Giacinto aveva classe ed eleganza. Sapeva far tutto e lo faceva bene. Anche segnare. (476 presenze in serie A e 59 le reti segnate). Il ruolo di mediano venne ricoperto, nel tempo, da campioni del calibro di Zaglio, Tagnin e Bedin; il centrocampista, in questione, andava sulla mezz’ala più offensiva, pronto a soffocare la possibile fonte di gioco e pericolo.
Suàrez, già Pallone d’oro nel 1960 con la maglia del Barcellona, era il fuoriclasse con compiti di regia, il cosidetto regista avanzato. Nel cuore dei tifosi prese il posto di Angelillo, ceduto alla Roma. Lo spagnolo aveva un’ottima visione di gioco; tagliava S. Siro con lanci telecomandati di 50-60 metri per accendere le polveri di Jair, Mazzola e Corso. Il brasiliano, riserva di Garrincha nella nazionale verdeoro, era un degno rappresentante delle grandi ali nerazzurre, proprie di un’epoca che annoverò anche uno strepitoso Domenghini. Mazzola era il terminale del gioco offensivo, l’attaccante di razza e il raccordo tra centrocampo e attacco. Milani, Peirò dopo, sostenevano Mazzola nelle incursioni avanzate.
Corso, spostato sulla sinistra, era poesia, forza, talento e precisione. Le sue punizioni “a foglia morta” hanno fatto scuola e portato punti preziosi. Giocatore di fantasia era un’attaccante in grado di risolvere le situazioni più difficili e intricate. Due date importanti servono a caratterizzare l’epoca morattiana.
Il 28 maggio 1955 Angelo Moratti acquista l’Inter, come già sottolineato, per cento milioni e assume la carica di Presidente. Nell’estate 1959-60 lo stesso patron nerazzurro getta le basi di quella che sarà la Grande Inter. Nel 1962-63 arriva il primo scudetto. Dopo il secondo posto della stagione precedente, l’Inter acquistò Di Giacomo, Maschio, Burgnich e il brasiliano Jair.
Promuove tra i titolari Facchetti e Mazzola. In porta schiera Buffon e in mediana Zaglio. All’inizio i nerazzurri non sembrano trovare la quadratura giusta ma agguantano comunque la parte alta della classifica.
Rallentiamo la nostra marcia inanellando due pareggi consecutivi. Ciò consente alla Juventus di terminare il girone d’andata in testa con un punto di vantaggio sulle più immediate inseguitrici.
L’Inter non demorde, è squadra caparbia e tenace; l’aggancio ai bianconeri si materializza il 3 febbraio. Viaggiamo in coabitazione con i torinesi ma dopo un mese la Juventus perde il derby e l’Inter ne approfitta per superare gli eterni avversari.
Un primato che non lasciamo più ma al contrario incrementiamo lo score per laurearci Campioni d’Italia con quattro punti di vantaggio sui bianconeri.
Fu il primo scudetto dell’era Moratti e l’ottavo della storia interista. Una vittoria di prestigio, arrivata dopo una rimonta.
Questi i nomi della formazione campione: Buffon, Burgnich, Facchetti, Zaglio, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Di Giacomo, Suàrez, Corso.
“Uno para todos, todos para uno” diceva il mago Herrera. Quello fu solo l’inizio di una lunga serie di trofei e vittorie. Arriveranno, infatti, altri due scudetti, due coppe dei campioni e due coppe intercontinentali.
La nostra prima partecipazione alla coppa dei campioni, edizione 1963-64, è segnata dalla vittoria finale. L’Inter si rinforza con gli acquisti di Sarti, Tagnin e Milani.
Everton, Monaco, Partizan e Borussia Dortmund vengono spazzati via dalla corazzata di Mazzola e compagni. In finale, al Prater di Vienna e davanti a 72.000 spettatori, l’Inter è campione d’Europa per la prima volta nella sua storia.
Tre a uno il risultato finale, con una doppietta di Mazzola e un gol di Milani. Herrera fu lo stratega; Tagnin soffoca Di Stefano, Guarneri carica Puskas e Burgnich va su Gento con Suàrez pronto a limitare Felo. Nel 1964 diventiamo campioni del mondo dopo tre combattutissime partite contro gli argentini dell’Independiente.
Una vera e propria battaglia tra i due continenti con l’Inter pronta a consolidare la sua fama oltre il suolo italico. L’anno successivo è addirittura trionfale: campioni d’Italia, per la seconda volta nell’era Moratti, campioni d”Europa (1-0 in finale a Milano contro il Benfica di Eusebio) e ancora una coppa Intercontinentale contro l’Independiente ( 3-0 all’andata a Milano e 0-0 nel ritorno in Argentina).
Lo scudetto della stella arriva al termine della stagione 1965-66. Non manca neppure lo spazio per qualche trofeo perso per un soffio.
Nel 1963-64, in campionato, perdiamo lo spareggio a Roma contro il Bologna (2-0 il risultato finale per i felsinei). Il 25 maggio del 1967 perdiamo in finale di coppa dei campioni contro la leggenda Celtic e una settimana dopo una “papera” (???) di Sarti, contro il Mantova, decide il campionato a favore della Juventus.
Tutte testimonianze di una squadra che fu Grande e come tale viene ricordata e celebrata ancora oggi.
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