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L’Inter dei record. Ancora un sogno che diventa realtà.

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Enrico Ameri prende la linea da S. Siro al 39’minuto del secondo tempo. Matthaus trasforma in dinamite rabbiosa una punizione dal limite e fa tredici. Tanti sono, infatti, gli scudetti interisti alla fine del glorioso campionato 1988-1989.

Lothar Matthaus ha rappresentato, al meglio, la natura della squadra dei record. La forza e la potenza. L’urto devastante sugli avversari. Aggressiva e più veloce di tutti. Lo score finale fu qualcosa d’impressionante. 58 punti su 68. In panchina Trapattoni fu l’artefice di una squadra che affrontava ogni partita come parte di un disegno divino. Egli diede vita ad una compagine capace di travolgere ogni ostacolo e supportata da un gioco strumentale al dinamismo e alla prepotenza fisica dei suoi protagonisti.

La partita del 28 maggio contro il Napoli rappresentò l’immagine più bella e significativa del massimo campionato di calcio. Stadio esaurito e più di due miliardi d’incasso ai botteghini. Il Napoli maradoniano era il calcio nella sua classicità e tradizione; dove la fantasia e la danza dei sudamericani accompagnavano le reti di una città sognante. Erano balli trasportati da continenti lontani perché il pallone può scrivere poesie che fermano il tempo. Sotto il Vesuvio essi incantarono e vinsero. L’Inter è stata la risposta migliore a tutto questo. I giocatori nerazzurri furono solidi, compatti e concreti sino all’esasperazione. La bravura nel colpire al momento giusto era scuola trapattoniana; come un bravo chirurgo che conosce il punto preciso in cui incidere, così l’Inter studiava l’avversario per poi assalire e tramortire, spesso sotto una ridda di colpi assassini e silenziosi. L’Inter del Trap non ama danzare; piuttosto è portata a soffocare il ballo altrui. Per poi ferire mortalmente.

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L’incedere della Beneamata, sul campionato, fu simile ad una corazzata la cui sala macchine migliorava le prestazioni in un crescendo senza limiti. Anche il Milan di Sacchi e degli olandesi cadde vittima della furia nerazzurra. Zenga è un baluardo, Brehme è la freccia instancabile sulla fascia che arriva, sovente, per dare manforte in un centrocampo dove Matthaus è l’astro, un coacervo di classe e forza. Credo che Lothar fu l’uomo in più, capace di fare la differenza contro qualsiasi avversario. Matteoli era il centromediano metodista e Berti correva per undici. In attacco Diaz affianca l’ariete Aldo Serena. Il Napoli non è solo Maradona; al contrario è una formazione impreziosita da giocatori come Carnevale, Alemao e Renica e tanto altro. Al 36’Careca porta in vantaggio il Napoli. Il gol del brasiliano mi paralizzò. In me resisteva la consapevolezza che i tedeschi non avrebbero tradito le attese. Andiamo negli spogliatoi con queste sensazioni miste di paura e speranza.

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La risposta del Trap, nella ripresa, fu di togliere Baresi e rinforzare il centrocampo con Alessandro Bianchi, un giocatore estremamente importante in chiave tattica. Assicurava copertura dinnanzi alle possibili folate dei partenopei ma anche un elemento valido nella fase creativa e di costruzione della manovra. Il risultato di tutto fu che Fusi deviò un tiro di Berti regalandoci il pareggio. Careca colpisce un palo. Al 39’ Agnolin assegna una punizione dal limite che Brehme s’incarica di calciare. La voce di Ameri, alla radio, attribuisce all’apoteosi nerazzurra l’immortalità dell’attimo. La barriera si muove in anticipo e Brehme ripete il tiro due volte. Alla terza Matthaus prende in mano la situazione e scarica in rete il pallone dello scudetto. Il tredicesimo. E con quattro gare d’anticipo sulla fine del campionato. Superando e mettendo in fila tutti.

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