L’interpretazione di una partita di calcio è molto soggettiva. Essa può essere vista attraverso vari aspetti ed interessi, poiché ognuno può viverla come tifoso, amante del gioco o dei giocatori che vi partecipano…
Ci sono due modi per guardare una partita:
1. Osservarla – facendo riferimento alle qualità individuali dei giocatori (fisiche, tecniche, psicologiche) o collettive attraverso la spettacolarità del gioco di squadra;
2. Analizzarla – notando i principi di gioco ( 1vs1, 2vs2, Smarcamento, Marcatura, Marcamento, Piramide Difensiva, Triangolazioni, ecc..) e visualizzando le varie disposizioni in campo attraverso moduli e sistemi di gioco, ma con un’accurata attenzione geometrica.
Si è parlato tantissimo del Barcellona e del suo possesso palla, il Tiki Taka, il quale divide i sostenitori del Calcio, tra il “possesso abulico”, tardivo nella verticalizzazione verso la porta avversaria ed il “possesso di posizione” in quanto ogni giocatore si mette a disposizione del compagno come possibile “appoggio” o “sostegno”, rispettando le soggettive collocazioni, con il fine di tenere il più possibile il pallone, secondo la mentalità catalana: “il pallone non suda; se lo teniamo noi, gli avversari corrono, e noi possiamo segnare”. L’origine di questa mentalità risale ai primi anni ’70, da un continente all’altro, partendo dallo spregiudicato 4-2-4 del Brasile Campione del Mondo in Mexico ’70 fino a toccare i Paesi Bassi: infatti l’Ajax e la Nazionale Olandese contribuirono fortemente all’evoluzione tecnico-tattica del Calcio. Pressing, fuorigioco, raddoppi di marcature, erano i principali elementi che caratterizzavano il gioco olandese, oltre alla grande qualità dei giocatori che componevo quella grande nazionale (Cruijff, Kroll, Jansen, allenati dal grande maestro Michels); ma non solo, il Liverpool di Bob Pasley propose un calcio “diverso”, tanto da attrarre l’attenzione e l’oggetto di studio del nostro connazionale e grande maestro Arrigo Sacchi. Infatti ci fu una vera rivoluzione tattica e metodologica condotta dal “celebre allenatore”, poiché dopo di lui, sia il calcio italiano ed europeo non fu più lo stesso; egli definì il Liverpool di Pasley (4-4-1-1) il vero precursore del calcio moderno. Ma qual’è la differenza tra il famoso 4-4-2 di Sacchi ed il variabile 3-4-3 di Guardiola? Soffermarsi sulla differenza di modulo sarebbe un grave errore, perché il credo di Sacchi era fatto di zona, diagonale, difesa alta, trappola del fuorigioco, movimento di squadra con e senza palla, pressing; la differenza principale che ci potrebbe essere è che Arrigo Sacchi non puntava su un possesso palla troppo prolungato (caratteristica principale del gioco di Guardiola), ma entrambi prediligono la copertura degli spazi, preferendo il lavoro sulla zona-pressing, in cui l’intensità ed il ritmo sono elementi prioritari. Sacchi definisce il gioco moderno come un movimento armonico di 11 giocatori sempre attivi, con o senza palla, fattori che si ritrovano nel team di Guardiola. A distanza di anni, si rivedono nel Barcellona gli stessi elementi, soprattutto il pressing alto e costante a partire dagli attaccanti che, in fase di “non possesso” diventano “i primi difensori”; pretendendo la partecipazione di tutta la squadra nella fase difensiva per attaccare gli avversari nel momento in cui prendono il possesso del pallone, senza aspettare che arrivino nella propria trequarti. Per attuare un pressing simile, le linee devono mantenere le giuste distanze,comprendo le linee di passaggio; essere compatti ed attuare movimenti il più possibile sincronizzati per evitare spazi scoperti e pronti a ripartenze fulminanti (Transizioni Positive). Infatti la caratteristica del Barcellona è proprio quella di “difendere attaccando”. Quando si organizza per recuperare il pallone al “millesimo di secondo”, la sua struttura di gioco può prendere qualsiasi tipo di forma: non ha un modulo predefinito, un 3-4-3 o un 4-3-3. La forza di questa squadra è quella di non dare il tempo di pensare; essi possiedono schemi motori già predefiniti con la funzionalità di non disordinarsi, poiché il loro metodo non è muovere la palla, ma usare la palla per muoversi. La pressione degli attaccanti del Barça, affinché l’avversario perda il pallone un istante dopo averlo recuperato, è intensa e senza tregua. Il segreto, è nel fatto che tutti debbano trasformarsi in “distruttori” per quanto grande possa essere il proprio genio nel nobile compito della costruzione. Non è importante chi giochi, né contro chi, né dove, né quanto manca alla fine della partita. È quasi un automatismo individuale e collettivo: dietro si costruisce quando non si sta distruggendo; davanti si distrugge quando non si sta costruendo. Cesar Luis Menotti disse di questo Barcellona: “Questo Barça è una macchina che regala emozioni. L’inspirazione consiste in angeli che girano per gli stadi. Essi si sono fermati al Camp Nou, camminando sopra la testa di Xavi, di Iniesta, di Messi. Potranno perdere, ma vincerli nel gioco diventa molto difficile”. Osservando il Barcellona giocare nascono istintivamente delle domande:
“Ma come fanno?”
“Perché sono in possesso del pallone per un tempo così prolungato?”
Le persone più scettiche possono soffermarsi sull’ideologia che il possesso palla non determina il risultato finale, ovvero, è inutile avere il 65% del possesso di palla quando il risultato termina 1-3 e magari con 3 tiri in porta della squadra avversaria. Dietro all’altissima percentuale della padronanza del pallone del Barcellona, c’è molto di più. In esso il modello organizzativo, caratterizzato dall
a sua elasticità e pragmatismo, è determinato dall’interscambio ben strutturato tra i giocatori dello stesso ruolo permettendo ad ogni elemento di trovare aiuto in un compagno. Questa caratteristica fluida del gioco del Barcellona, che Oscar Cano, nel suo libro “Il gioco di posizione del Barcellona”, lo definisce il Barça liquido, sottolinea proprio questo modo di giocare, che ha portato alla caduta dei luoghi comuni e delle idee pre-stabilite, come il fisico, il muscolo, gli specialisti o il resto, tutto raso al suolo dalla potenza del flusso. Il calcio negli ultimi vent’anni e più, è stato caratterizzato, dall’insorgenza della Preparazione Atletica: ricordo le parole di Walter Zenga quando disse che una volta si osservava un giocatore e si diceva “Guarda come calcia il pallone, mentre adesso lo si osserva esclamando: guarda che fisico!”. Ma il Calcio non si gioca con i Bicipiti; e la grande dimostrazione è stata data dal Barcellona, dove tre dei più forti giocatori al mondo, Messi, Xavi e Iniesta, non superano il metro e settanta. La tecnica deve essere la base del Giocatore, le sue fondamenta. La grande forza del Barcellona è propria la tecnica sopraffina dei suoi giocatori e l’organizzazione tattica e mentale in grado di schiacciare la squadra avversaria, spingendola nella sua area, deformandola, con l’obiettivo di rubare il pallone senza concedere il tempo per una nuova organizzazione. Questa mentalità parte proprio dai giovani della Cantera, della Masìa (come si usa chiamarli) la costruzione di una mentalità che porta una squadra a voler sempre amministrare il gioco, muovendosi in sincronia per far funzionare il tutto. Per questo il Barcellona non può essere copiato, perché significherebbe copiare la sua storia. Non si può copiare il suo gioco riassumendo decenni in mesi; anni di studio e di ricerche non si rimpiazzano con ingaggi stratosferici dovuti al “cambio del Petrolio”. I risultati riportati nel Calcio professionista hanno confermato che sono più importanti le idee rispetto ai soldi. Società di Calcio che sperperano denaro senza tenere conto del Settore Giovanile, finiscono sempre in deficit. Per questo non si può copiare i metodi di altri, poiché nessun gruppo è la copia di un altro. Anche nel Calcio ci sono dei tempi fisiologici, soprattutto quando si lavora con i giovani: essi sono come delle piante, se non le curi con i giusti tempi e con il giusto nutrimento, muoiono. La Cantera del Barcellona ha avuto la pazienza di coltivare giocatori incredibili del calibro di Iniesta, un “fenomeno” in grado far riposare l’azione affinché il suo spazio venga occupato da avversari, per poi cercare compagni liberi o meglio liberati dal diretto marcatore.
Pedro: impressionante nei movimenti a “ventaglio”, riuscendo spesso a trovare l’inserimento presentandosi davanti al portiere.
Xavi:“il geometra”…
Iniesta: “l’artista” …
Messi: per lui non ci sono parole. Un vero Campione. L’esempio dell’inesattezza, della pianificazione. Ha il dono della volubilità incorporata alla sua genetica. Quando deve decidere, si affida solamente alla sua inventiva. Non conosce il momento in cui l’avversario esegue l’entrata, non sa se l’aiuto difensivo arriva in tempo, se è alla sua destra o sinistra. Si dice sempre che il grande campione è colui che prima di ricevere il pallone, sa già quello che deve fare. Lui pensa mentre agisce alla velocità della luce. È questo lo rende unico.