Nel momento in cui morì Giuseppe Meazza, un grande del giornalismo sportivo come Gianni Brera ebbe a commentare così dalle colonne del Il Giornale Nuovo del 24 agosto 1979: “Peppin Meazza era el folber”. Celebrato da tanti come il giocatore italiano più forte di tutti i tempi fu sicuramente uno dei giocatori più amati del primo dopoguerra. Meazza fu un calciatore dal gioco imprevedibile. Dribbling prepotenti, azioni costruite su fantasia ed estro creativo, acrobazie e corse dove il nemico giurato era il portiere avversario. Le reti “alla Meazza” erano fughe nello spazio dove l’estremo difensore veniva saltato secondo uno schema che divenne un classico del giocatore milanese. Astuto e bravo anche nel gioco aereo non disdegnava la battuta di rigori e punizioni. Le presenze complessive con la maglia dell’Inter furono 408 con 284 reti.
Nato nel quartiere milanese di Porta Vittoria il 23 agosto 1910 perse il padre a sette anni a causa dei bombardamenti della prima guerra mondiale. La madre lavorava ai mercati della frutta a Milano. Un’infanzia vissuta tra tanti sacrifici. Scartato dal Milan a causa di un fisico troppo esile, Meazza venne notato e scoperto da Fulvio Bernardini il quale arrivò quasi a imporlo al mister interista Arpad Weisz. Il ragazzo era davvero un funambolo tanto che il tecnico nerazzurro rimase impressionato dalle doti del promettente ragazzo. A sedici anni venne aggregato alla prima squadra e a diciassette esordì nell’Inter, nella Coppa Volta. Fu subito “Il Balilla”; la giovanissima età e un’espressione simpatica di Leopoldo Conti battezzarono così l’esordio del forte attaccante. I due gol alla Dominante Genova, nel giorno della prima, fecero capire che Meazza aveva tutto per diventare il numero uno assoluto.
L’esordio nel campionato italiano è come un temporale che spazza via un calcio fatto di lanci lunghi, tecnica approssimativa, ritmi compassati, scarpate e svirgolate. Di colpo il gioco diventa veloce, imprevedibile, fantasioso. (da “Il mio nome è Giuseppe Meazza” di Pedrazzini – Jaselli Meazza). La sua classe era eccelsa e già segnava secondo ritmi costanti e sorprendenti; così non ancora ventenne guidò l’Ambrosiana alla conquista del campionato 1929-30. Suo anche il titolo di capocannoniere con ben 31 reti. Nel 1935-36 si laureò nuovamente capocannoniere, con venticinque reti e nel 1937-38 si ripeté ancora con l’accoppiata scudetto-classifica cannonieri. Meazza era il modo giusto per entusiasmare la gente che amava il calcio o che era disposto ad amarlo. Con Meazza lo spettacolo era assicurato; costituiva il grimaldello ideale per scardinare le difese avversarie, di qualunque tipo. Attaccava e segnava; e riusciva a farlo bene e in tutti i modi. Non era alto ma andava in gol anche di testa perché dalla sua aveva tempismo, scatto e anticipo.
La sua carriera in maglia azzurra toccò livelli altissimi; a soli vent’anni vestì la maglia azzurra. Guidò l’Italia alla conquista del suo primo campionato del mondo, nell’edizione casalinga del 1934, condita da quattro reti. Suo l’assist che permise a Schiavio di battere, nei tempi supplementari, il cecoslovacco Planicka nella ruggente finalissima di Roma. Nel 1938, giocando nella posizione di centrocampista, fu il capitano degli azzurri alla Coppa Rimet che si disputò in Francia: fummo ancora campioni del mondo e per la seconda volta nella nostra storia. Quella Nazionale è ricordata, ancora oggi, come una delle più forti di tutti i tempi. La duttilità tattica e la bravura consentirono a Meazza di giocare, a seconda delle esigenze, come centravanti o interno. La sua classe era cristallina. Il 16 giugno, a Marsiglia, nella semifinale della manifestazione iridata, segnò contro il Brasile il gol numero 33, una rete decisiva, l’ultima della sua carriera in nazionale. Il suo record di gol sarà battuto dal solo Gigi Riva. Fuori dal campo Meazza, per usare le parole del giornalista e scrittore Vladimiro Caminiti, era un bon-vivant, gran tombeur-de-femmes , perfetto ballerino di tango, testa sempre lucida di brillantina, gardenia bianca all’occhiello di impeccabili completi blu gessati, idolo della Milano bene capace di coricarsi all’alba della domenica, di dormire un paio d’ore e di segnare poi due o tre gol, beffando le più arcigne difese avversarie … Vinse tre scudetti e una coppa Italia con la casacca dell’Inter. E per due volte è stato campione del mondo con la maglia della Nazionale.
Meazza fu un autentico divo. A lui dedicarono un fumetto e fu testimonial di tante aziende. Sempre a lui, il 2 marzo 1980, venne intitolato lo stadio di S. Siro; quel giorno vincemmo il derby con una rete di Oriali al 77’ e quell’anno celebrammo lo stadio, intitolato a Meazza, vincendo lo scudetto (il dodicesimo della nostra gloriosa storia).
Nel segno di Meazza, il più grande!
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