Mi ha sempre impressionato la grande professionalità di Giuseppe Bergomi. La serietà è un valore che il difensore nerazzurro ha sempre riposto in cima ad una carriera che è stata esemplare.
Insieme ad una duttilità di base nell’interpretare il ruolo difensivo; nato come libero, Bergomi si affermò come terzino per poi tornare a fare il libero. Un terzino moderno, capace di spingersi con energia sulla fascia per poi ripiegare, all’occorrenza, su posizioni di marcatura.
Una marcatura che sapeva essere asfissiante e opprimente con uno stile a volte rovinoso ma sempre corretto. Sul finire della carriera seppe anche calarsi nei meccanismi della difesa a zona e lo fece ottenendo grandi risultati.
Da qui l’apprezzamento costante e unanime di allenatori, compagni e avversari. Nato a Milano il 22 dicembre del 1963 non superò un provino con il Milan. Gli esami clinici evidenziarono la presenza di reumatismi nel sangue; da qui l’invito a ripassare in un futuro prossimo.
Il ragazzo è bravo e ha classe; un uomo di fiducia di Sandro Mazzola, tale Bussi di Crema, lo convoca per un provino all’Inter. Tredici milioni delle vecchie lire il costo del giovane campione.
Così all’età di sedici anni Bergomi entrò a far parte del settore giovanile dell’Inter e Bersellini lo fece esordire, ancora giovanissimo, in coppa Italia contro la Juventus il 30 gennaio del 1980.
L’anno successivo, a diciassette anni e due mesi, debutta in Serie A contro il Como subentrando al grande Oriali. Primo gol, nella massima serie, nel gennaio del 1982 contro il Bologna; nello stesso anno entra nel giro della Nazionale.
Vince il mondiale in Spagna che non ha ancora compiuto 18 anni e in finale marca, con bravura e grande personalità, il forte Rummenigge. Un predestinato. Con l’Inter 756 partite (e 28 gol) di cui 519 in serie A e 23 gol all’attivo.
Uno scudetto, quello dei record, una coppa italia, una supercoppa italiana e tre coppe Uefa nobilitano la personale bacheca del campione. In tema di presenze solo Javier Zanetti ha saputo fare di meglio.
Lo Zio, soprannome attribuitogli da Giampiero Marini per via dei baffi portati sin da ragazzino, è stato questo ma anche altro.
Bergomi si è distinto come un campione vero. Ha incarnato il difensore della vecchia scuola italiana. Nel reparto difensivo sapeva giocare ovunque. Con disinvoltura e a seconda delle diverse esigenze tattiche del momento era terzino, stopper o libero.
Con libero accesso verso il gol. Ogni vestito era funzionale alle esigenze della squadra ma la caratteristica che non mancava mai era la grande umiltà di un campione che sapeva mettersi al servizio del gruppo e dei compagni.
Marcatore implacabile con Trapattoni. Hodgson lo schiera terzino sinistro laddove il concreto Simoni gli ritaglia il ruolo di libero. E’ stato un’autentica bandiera interista.
Ha trascorso una vita con i colori nerazzurri e la tifoseria ha sempre riconosciuto in lui i tratti di una professionalità e serietà davvero encomiabili.
La più grande soddisfazione resta lo scudetto dell’Inter dei record, uno scudetto che ebbe qualcosa di salvifico per il modo in cui arrivò. Fu una colonna dell’Inter trapattoniana, perno di una difesa insuperabile.
Si trattò di un coronamento e giusto premio alla tenacia del presidente Pellegrini ma anche un alloro storico per chi aveva sposato e creduto in quella maglia come fece Bergomi.
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