Si stabilisce nella vicina Flambro e nonostante fosse miope decide di dedicarsi al calcio. Lega gli occhiali dietro la nuca con un elastico e incomincia a inseguire un pallone; sarà la sua strada, quella che gli darà fama e gloria. Il talento del ragazzo è così elevato che ad appena diciotto anni viene aggregato all’Udinese, in prima squadra. Fa il suo esordio come punta centrale; il ragazzo è molto veloce e in progressione appare imprendibile. Per esaltare al massimo queste doti viene trasformato in un esterno. Sui centro metri è solo qualche decimo di secondo sopra il campione olimpico Percy Williams. Percorreva, infatti, i cento metri in undici secondi e quattrodecimi. Sulla fascia è garanzia di spettacolo e gli avversari devono faticare non poco per stargli dietro e contrastarlo. Nella serie cadetta, nella stagione 1930-31, disputa 31 partite condite da otto reti. Il Padova si accorge dell’estro di questo ragazzo e sborsa ben 25.000 lire per assicurarsene le prestazioni.
Trascina il Padova ad una fantastica promozione in serie A e l’anno successivo fa il suo esordio nel massimo campionato. Nel 1933 è a Bari in prestito per adempiere agli obblighi di leva nel capoluogo pugliese; nel 1934 fa il suo ritorno a Padova da poco retrocesso in serie B. Il 1935 è un anno caratterizzato da un evento importantissimo per il giovane Frossi: a bordo della nave Saturnia è in partenza per l’Etiopia. La guerra d’Abissinia chiama a raccolta i suoi ragazzi e Frossi, caporale maggiore della fanteria Gran Sasso, ha risposto presente. Adelchi Serena, tra i fondatori dell’A.S. L’Aquila e, all’epoca, vicesegretario del PNF, ordina un pò prima della partenza di lasciare a terra Frossi. La motivazione di quell’ordine è semplice: Frossi giocherà per L’Aquila. Alla fine disputerà 34 partite e segnerà nove reti. Il modo di giocare di Frossi appaga il palato dei tifosi e degli sportivi; presidia, con personalità, la fascia destra, è veloce ma non disdegna di accentrarsi con rapidità per provare egli stesso la conclusione a rete. La società aquilana non presenta una situazione economica buona e le esigenze di bilancio consigliano la vendita di un pezzo pregiato come Frossi. Le casse societarie possono quindi respirare perchè l’Ambrosiana-Inter aquista il cartellino del campione per 50.000 lire. Anche Vittorio Pozzo, commissario unico della Nazionale, incomincia a seguire le prodezze di Frossi. Viene quindi convocato dallo stesso Pozzo per le Olimpiadi di Berlino del 1936. Gli azzurri vinceranno l’oro olimpico e Frossi è tra i protagonisti assoluti. Un’esplosione vera e propria quella di Frossi che segnerà, tra l’altro, i gol-vittoria, entrambi nei supplementari, contro la Norvegia in semifinale e contro l’Austria nella finalissima.
In tutto 147 presenze in sei annate in nerazzurro, al fianco di Giuseppe Meazza, con 49 reti segnate, due Scudetti, una Coppa Italia. Anche una laurea in Giurisprudenza ottenuta nel 1941 all’Università di Parma; da qui il simpatico soprannome di “Dottor Sottile”. Gianni Brera disse di lui: «possedeva grande scatto e ammirevole coordinazione: non aveva gran tocco di palla ed era scarso in acrobazia perché, miope, doveva giocare con gli occhiali». Vittorio Pozzo, per rimarcarne la prontezza in area di rigore, lo definì «un opportunista della più bell’acqua». Possedeva inoltre uno straordinario tiro dalla media distanza e fu un ottimo esecutore degli schemi di gioco. Dopo la guerra fu abile allenatore. Un vero e proprio stratega dal punto di vista tattico. Teorico del difensivismo, chiude la carriera alla Triestina nel 1965 dopo aver allenato, tra le altre squadre, anche Inter, Genoa e Napoli. Contribuisce, inoltre, alla fondazione dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio. Ritiratosi in Friuli, negli anni Settanta scrive per il Corriere della Sera ed altre testate nazionali. Muore a Milano il 26 febbraio 1999.