È appena uscita in Brasile “Adriano – La mia più grande paura”, l’autobiografia dell’ex attaccante dell’Inter, scritta con il giornalista Ulisses Neto. Nel libro, Adriano si apre sui momenti bui della sua vita, segnati dall’alcolismo e dalla depressione. Racconta, tra l’altro, di quando l’Inter tentò una terapia d’urto: “Molti vedono nel calcio una via di fuga, ma io avevo bisogno di scappare dal calcio. La mia fuga era la mia famiglia, mio padre. Quando mi girai, mio padre non c’era più. Così cominciai a bere. Prendevo multe, ma non mi importava. Guadagnavo molti soldi. La prima volta ti pesa, la seconda ti fa arrabbiare, la terza non ci pensi più”.
In quel periodo, Adriano si trovava spesso in sovrappeso, con problemi fisici e prestazioni scarse, fino a non essere convocato per la Copa América 2007. “Questa vita si rifletteva in tutto, e nel club la pazienza stava finendo; pensavano di darmi in prestito”.
La situazione di Adriano stava diventando sempre più difficile: “Avevo iniziato a sentire che qualcosa non andava. Parlai con il mio avvocato, ma ormai non vedevo vie d’uscita. Poi arrivò un altro colpo duro: Roberto Mancini mi escluse dalla lista per la Champions League. Alla stampa dissero che la squadra aveva altre opzioni in attacco. Io non ero una di quelle.
Un giorno, uscito dall’allenamento, trovai il mio avvocato a parlare con Marco Branca e il dottor Franco Combi. L’aria era pesante. Il mio avvocato mi disse che circolavano sospetti su di me, avevano paura che facessi uso di doping. Allora mi feci avanti e chiesi chiaramente: ‘Sospetti su cosa, esattamente? Credete che faccia uso di droghe?’. Il dottor Combi mi rispose che erano solo preoccupati per me. Allora sbottai: ‘Fate pure il test, fatelo anche sui capelli così dura per mesi’. Ero furioso. Fu allora che uno dei dirigenti fece una battuta che non digerii: ‘Facciamo il test sui capelli… per caso sei calvo?’. Mi trattenni a fatica. Avrei voluto mollargli uno schiaffo. Presi un ciuffo di capelli dalla borsa e glielo misi davanti, dicendo: ‘Ecco, fate pure il test con questi’”.
Infine, il presidente Massimo Moratti provò a intervenire: “Con il suo modo pacato mi disse: ‘Adri, non c’è nulla di cui vergognarsi. Questo succede a molti. Vorremmo proporti un posto speciale’. Parlarono di una clinica di riabilitazione in Svizzera. Io però non capivo, non mi sentivo pazzo. Mi chiesi se fosse mai possibile vedere un calciatore in riabilitazione. In quella riunione cominciai a ribellarmi: per me era impensabile”.